Essere all’avanguardia non è una questione di tablet e lavagne interattive. Per stare al passo la scuola dovrebbe cambiare priorità e metodo per lezioni, prove e compiti
La scuola di oggi odora di vetusto e anacronistico, non è al passo con la società. La società evolve e la scuola arranca. Dirlo non è più una critica, ma un’affaticata e condivisa constatazione. Ma perché? Cosa manca alla scuola italiana per far sì che il percorso scolastico sia efficace nel formare gli adulti di domani come individui, cittadini e lavoratori?
Se lo chiedono i genitori accompagnando i figli nella crescita. Se lo chiedono i pedagogisti e gli insegnanti, nella programmazione e nei momenti di valutazione. Il tema però riguarda un po’ tutti: dal datore di lavoro che deve assumere i dipendenti di domani, al cittadino che vive in una comunità che sarà abitata in futuro proprio dagli studenti che ora vanno a scuola.
SCOLLAMENTI TRA SCUOLA E LAVORO
Negli ultimi mesi il tema è entrato nuovamente nell’agenda del Governo. Il Miur ha già reintrodotto i voti alle primarie, ridato potere alla condotta e si prepara a rivedere le indicazioni ministeriali che nel 2012 hanno sostituito i programmi per l’istruzione primaria e secondaria.
Le riforme degli ultimi 30 anni in realtà hanno inciso in maniera anche discordante sull’evoluzione scolastica. Cambi nella valutazione, grandi investimenti in tecnologie più o meno utili o lungimiranti e dibattiti infiniti sulle materie da valorizzare o dimensionare, introdurre o defenestrare.
Da un lato è condivisibile la necessità di introdurre l’educazione emotiva e finanziaria nelle scuole e ridare centralità all’educazione civica, all’arte e l’educazione al bello, ma è evidente che il problema sta a monte. Ma esistono una serie di scollamenti tra la preparazione (la scuola) e la prova (il lavoro) che non è più quello delle catene di montaggio. Quindi, al di là delle singole materie, oggetto di riflessione dovrebbero essere le modalità di esecuzione delle lezioni, delle prove, dei compiti.
NON È (SOLO) UNA QUESTIONE DI TECNOLOGIA
La scuola abitua gli adulti di domani a pensare che chiedere aiuto al proprio compagno sia barare. Anzi, che sia proprio sbagliato, al punto da prevedere anche una sanzione: la nota disciplinare.
La scuola insegna a bambini e ragazzi a non chiedere non solo perché sbagliato, ma perché “Non si fa!”.
A scuola i compiti e ancora di più le verifiche devono essere svolti individualmente, così da permettere all’insegnante di misurare per ciascuno l’effettiva capacità di riprodurre quanto studiato.
Al contrario, da anni, il mondo del lavoro sta cercando in tutti i modi e a fatica di sciogliere questo schema, secondo il quale la competizione tra pari sia migliore della cooperazione.
Oggi la capacità di fare squadra e di lavorare in gruppo e cooperare sono requisiti di base per ogni impiego, ma la scuola si ostina a insegnare ai ragazzi il contrario.
Molti, guardando alla scuola, sono abituati a pensare che sia compito dell’insegnante dare conoscenze e istruzioni e che proprio dal docente debba arrivare il sapere da immagazzinare e riprodurre. Al contrario in un mondo del lavoro che cambia sempre più velocemente assieme alle continue evoluzioni della tecnologia si fatica a instaurare una mentalità che operi verso il senso critico, la ricerca di soluzioni diverse e il pensiero divergente.
Un tempo la scuola era lo specchio della società, in un rapporto di reciprocità simmetrica, in un rapporto di riproduzione circolare, in cui la scuola era davvero la palestra preparatoria di ciò che sarebbe arrivato dopo.
Oggi non è più così, la società si è traghettata da un’altra parte, lasciando la scuola lì, sola, ad autoriprodursi medesima a se stessa, illudendosi con qualche tablet e qualche lavagna multimediale di essere all’avanguardia.