Perchè non bisogna punire i figli per i brutti voti a scuola: la spiegazione del pedagogista
Associare l’errore ad una colpa da punire finisce per causare frustrazione e rafforza il comportamento che si vorrebbe evitare: “molto meglio supportare i ragazzi e aiutarli a costruire un vero senso di responsabilità”
Punire i figli per un insuccesso scolastico aiuta davvero bambini e ragazzi ad impegnarsi di più e migliorare il proprio rendimento? La questione torna prepotentemente d’attualità in vista delle pagelle di fine anno, anche se la moderna pedagogia sembra da tempo aver espresso il proprio verdetto sull’effettiva utilità di simili provvedimenti per “raddrizzare” gli studenti.
“Sono gli adulti che non riescono a tollerare gli errori. I più piccoli iniziano a sbagliare fin da quando iniziano a muovere i primi passi e non hanno nessun problema a commettere errore” spiega a Fanpage.it il pedagogista Luca Frusciello.
“Avete mai visto piangere un bambino perché gli cade qualcosa dalle mani? Io no. Però ho visto molti adulti allarmarsi perché qualcosa cade dalle mani di un bimbo, insegnando così al piccolo a reagire male di fronte ad uno sbaglio”
Ma allora ha senso punire un ragazzo per un brutto voto?
Assolutamente no. C’è già il brutto voto come conseguenza del mancato studio, dunque perché un genitore dovrebbe rincarare la dose? Forse perché non riesce ad interpretare il suo ruolo in altro modo se non attraverso la semplice relazione di premio e castigo. In questo modo però tutto si riduce a dare un premio se il ragazzo va bene e infliggere una punizione se invece va male. È questo il valore della scuola?
Sarei d’accordo anche io se fossimo all’inizio del Novecento. La pedagogia però si è decisamente allontanata da questa tipologia di approccio. La scienza ha dimostrato ormai da tempo come un’educazione basata sui premi finisca per ottenere il risultato opposto a quello desiderato: alla lunga, il premio inibisce l’azione premiata, mentre la punizione rinforza il comportamento punito.
In che modo?
In caso di una mancata comprensione della situazione, il genitore dovrebbe parlare al ragazzo. Talvolta questo semplice gesto aiuta a scoprire situazioni o difficoltà nascoste che, se non indagate, potrebbero venire bollate come semplice svogliatezza, quando invece magari si tratta di un disagio o perfino un disturbo dell’apprendimento. Se invece la madre o il padre si accorge che il ragazzo ha capito il motivo dietro il suo scarso voto, allora deve solo rinforzare quel rapporto causa-effetto e infondere fiducia: “è andata così, la prossima volta ti impegnerai di più e andrà meglio”.
Non c’è il rischio di “farla passare liscia” a chi non ha studiato abbastanza?
È un ragionamento che non sta in piedi. Farla passare liscia significherebbe chiudere gli occhi e disinteressarsi del problema. Nel momento in cui un genitore mostra la propria presenza e il proprio supporto sta contribuendo a costruire il senso di responsabilità del bambino o del ragazzo.
Alcuni bambini però sembrano più diligenti di altri
È vero, ci sono bambini che già a dieci anni sono già ligi al dovere, ma essere obbedienti non significa essere responsabili. Se un bambino esegue dei compiti senza maturare un vero senso di responsabilità nei confronti di ciò che sta facendo, non significa che crescendo proseguirà per questa strada.
É vero che l’errore ha valore educativo?
È la nostra società che alimenta l’equazione che associa l’errore ad una colpa. Ma vogliamo davvero costruire una società binaria dove o c’è il premio o c’è la punizione? Nell’errore non solo c’ è la possibilità dell’apprendimento, ma anche l’occasione dell’adattamento. E imparare ad adattarsi, ossia agire per rimediare o prevenire uno sbaglio, è una competenza assolutamente fondamentale per un adulto.