Davanti a un figlio che da bambino diventa ragazzo, anche aspettative, linguaggio, approccio e atteggiamento dei genitori devono cambiare.
Capita spesso ascoltando una conversazione tra persone, che qualcuno parli del proprio figlio adolescente apostrofandolo con “Il mio bambino”. Oppure che si eviti di rispondere alla richiesta difficile di un ragazzo quasi maggiorenne con un “Sei troppo piccolo” o “Non ti riconosco più”.
Il punto è che i figli crescono, mentre i genitori, a volte, no.
Dire al proprio figlio “Non ti riconosco più” dovrebbe essere un complimento. Il fatto che stia cambiando, abbandonando l’infanzia per approdare in un mondo nuovo e inesplorato è un bene.
Non riconoscere nel bambino divenuto ragazzo il proprio figlio rivela spesso un disagio del genitore. Come dire: “Io genitore sono sempre uguale, in generale e nei tuoi confronti figlio mio, mentre tu stai cambiando. Non siamo più allineati e io non sono più in grado di capire come relazionarmi a te”.
L’allievo e il comandante
Immaginiamo un giovane marinaio, che fino a ieri faceva il “mozzo”, l’allievo. Questo giovane mozzo cresce e, al di là delle sue abilità, inizia a voler essere come gli altri “cadetti”, allievi ufficiali.
Così il Comandante si ritrova un giovane mozzo sulla sua nave, stabile nella sua posizione, prevedibile nelle sue mansioni, controllabile nei suoi comportamenti, che vuole diventare qualcosa d’altro.
Fermiamoci un istante e pensiamo bene a questa situazione. Immaginiamo sia di essere il Comandante sia di essere il giovane, e pensiamo a posizioni, desideri, aspettative dell’uno e dell’altro.
Se a una serie di timidi tentativi da parte del ragazzo, il Comandante risponde sempre con ferma autorità “Stai al tuo posto!”, al giovane resta un’unica strategia per emanciparsi: deviare. Allora, pur di non essere più categorizzato nel ruolo di mozzo-bambino che non sente più suo, il ragazzo inizia a manifestare comportamenti evidenti di sfida.
Il punto però non è la sfida. Il punto è la voce del ragazzo che dice: “Più cerchi di tenermi nella posizione che tu vuoi per me, più io dovrò esagerare per non sentirmi come tu mi vuoi”.
Ecco allora che il Comandante, esausto dalle continue insubordinazioni, mosso da paternalismo discutibile incalza: “Non ti riconosco più”.
Anche i genitori devono crescere
Ora è più facile entrare nella dinamica: da una parte un padre o una madre che si aspettano delle cose da un figlio-bambino e dall’altra un figlio o una figlia che si sentono ragazzi e non intendono più esaudire delle aspettative costruite sul bambino che non sono più. I figli sono pronti a crescere, i genitori no.
Queste sono dinamiche così quotidiane da essere “normali”. E invece meritano delle considerazioni.
I figli crescono e con loro siamo chiamati a crescere anche noi come genitori. È normale sentirsi spaesati di fronte a un figlio che cambia. Ma il suo cambiamento non è una sfida rivolta al genitore, è una sfida che il ragazzo stesso sta affrontando.
I rapporti cambiano ed è inevitabile. Ai bambini bisogna dare degli insegnamenti che i ragazzi dovranno autonomamente mettere in pratica, affinché possano misurarli, aggiustarli e perché no, anche superarli.
Davanti a un figlio che da bambino diventa ragazzo, anche l’atteggiamento del genitore deve cambiare. Cambiano i linguaggi, l’approccio, le distanze, i consigli: cambia davvero tutto.
Il peso delle aspettative
E questo può stravolgere il genitore perché ciascuno, nel tempo involontariamente costruisce delle aspettative sui figli. Ma le aspettative dei genitori non possono e non devono rinchiudere i ragazzi dentro paletti mentali che non solo non tollerano, ma che creano anche conflitti poco evolutivi.
Così come il mozzo che vuole diventare cadetto, il bambino vuole diventare ragazzo e il ragazzo vorrà diventare adulto. Il comandante, come il genitore, non deve cedere alla tentazione, spesso mossa dalla paura, di tenere i figli sotto le proprie ali protettive mentre loro cercano di sperimentare il volo.
I figli fanno una gran fatica a crescere e il minimo che possiamo fare per loro come genitori è sforzarci di crescere, anche noi, insieme a loro.