Educare i bambini alla rabbia serve a evitare che trasformino il conflitto in spintoni e botte
La rabbia, quel sentimento che tendiamo sempre a nascondere ai nostri bimbi, catalogandolo come negativo è invece un’emozione che va spiegata. I bimbi devono imparare a gestirla perché non si tramuti in violenza ma in possibilità per ampliare il loro punto di vista.
Il senso comune tende a dividere le emozioni in due grandi gruppi: positive e negative. Quelle positive sarebbero le emozioni che ci fanno stare bene e che fanno stare bene gli altri e quelle negative sarebbero rappresentate dalle emozioni che non sviluppano uno stato di benessere e che non lo creano negli altri.
Con questa credenza abbiamo escluso la rabbia, relegandola in una bolla di negatività, spingendoci a evitarla nell’educazione dei nostri figli. Ma quali effetti collaterali porta con sé? Possiamo educare alla non-rabbia? E se un bambino litiga con un altro, arrivando anche alle mani, cosa dobbiamo fare?
Bimbi arrabbiati
- Emozioni negative e positive
- “Se fai così andiamo a casa!”
- Non-violenza/Non-rabbia: meglio non confondere
- Cosa succede nella non-rabbia
- Gestire la rabbia insieme
- Gestire la rabbia in autonomia
Emozioni negative e positive
Prima di iniziare, è bene partire da due punti fondamentali.
- Anzitutto dobbiamo sfatare un mito: le emozioni non si dividono in positive e negative o quanto meno non può essere l’unico criterio per categorizzarle. Le emozioni sono emozioni e hanno una funzione specifica nel nostro sviluppo. Alla rabbia è dedicato il compito di metterci in guardia di fronte a una situazione di pericolo. Nella quotidianità la ritroviamo nei conflitti e in tutte quelle situazioni dove percepiamo di subire un sopruso, una ingiustizia dalla quale doversi difendere. La rabbia ci serve e non va ostacolata. Piuttosto possiamo insegnare a contestualizzarla e a gestirla in funzione delle conseguenze e delle alternative.
- Il secondo punto è che dobbiamo distinguere l’emozione dalla reazione, perché se la prima non solo non possiamo evitarla ma nemmeno dobbiamo farlo, la seconda invece possiamo e assolutamente dobbiamo educarla.
“Se fai così andiamo a casa!”
Un papà venuto nel mio studio mi ha spiegato una situazione appena accadutagli: «Quando ho visto mio figlio essere aggressivo con un altro bambino sono andato lì e l’ho portato via. Ovviamente gli ho detto che se lo avesse rifatto ce ne saremmo andati dal parco!».
Al che io ho risposto chiedendo se, in un secondo momento, quando la situazione si era placata, avesse ripreso l’argomento, parlando di ciò che era successo e la risposta è stata: «No, non c’è stato bisogno. Ha smesso lì per lì, ma lo fa spesso e sto pensando seriamente di non portarlo più al parco perché non sa stare con gli altri bambini».
Una narrazione comune che ci dà lo spunto per dirci che a volte gestire la rabbia altrui può essere davvero complicato. La rabbia, come le altre emozioni, possono portare a reagire senza il filtro del pensare né alle conseguenze, né alle alternative e questo vale sia per i più piccoli che per i grandi.
Capita anche a noi adulti di arrabbiarci e non sempre siamo in grado di porre un filtro tra il sentire l’impeto di una emozione e la conseguente reazione.
Non-violenza/non-rabbia: meglio non confondere
Forse confondiamo la non-violenza con il dovere di non arrabbiarci e se abbiamo questa convinzione la trasferiamo anche ai nostri bambini.
- Con non-violenza intendiamo il metodo di risoluzione dei conflitti, votato all’esplorazione delle alternative al nuocere. Educare alla non-violenza significa educare al riconoscimento di quello che sento, sviluppando quelle abilità utili a gestire con il dialogo e l’assertività un momento di tensione.
- Quello che pare essere l’insegnamento della non-rabbia, invece, tende a voler annullare il sentire, evitando così ogni occasione di conflitto che possa sfociare in una reazione che possa nuocere agli altri.
Cosa succede nella non-rabbia?
Nell’evitare l’emozione rabbia, possiamo ritrovarci ad esserne “preda”, perché non abbiamo mai sviluppato quelle abilità di gestione che appartengono alla non-violenza.
“Nel conflitto l’altro mi obbliga a considerarlo, e con lui il suo punto di vista, amplia il mio campo di comprensione del mondo. La felicità non dipende dalle circostanze piacevoli o spiacevoli, ma dal nostro atteggiamento di fronte a queste circostanze”
Isabelle Filliozat
Così la psicologa francese di fama internazionale parla del giusto approccio, dicendoci che nel conflitto c’è un’occasione, difficile e faticosa, di crescita individuale, che ci porta a qualità essenziali del vivere: tolleranza, autonomia, inclusione.
Nella non-rabbia succede che non apprendo e quindi non riconosco tutti quei segnali che devono essere indicatori per progettare un’azione non-violenta. Se non educhiamo a questo, il sentire può trasformarsi in qualcosa di intollerabile che può portare a sfogare in una “furia cieca” o ad annullarsi per incompetenza acquisita.
Gestire la rabbia insieme
La rabbia deve essere gestita un po’ insieme. Preme ricordare che i bambini non sono adulti in miniatura e non seguono le nostre regole cognitive ed emotive. Hanno bisogno di essere accompagnati, guidati, istruiti e non vanno giudicati o squalificati. Apprendono secondo ciò che il mondo propone loro e la relazione con i genitori è il primo grande manuale d’istruzioni.
- La rabbia esiste: riconosciamola. Se il bambino non ha ancora sviluppato la capacità di riconoscere di essere arrabbiato, lo aiutiamo noi adulti a riconoscerla e ci sintonizziamo con lui: “Sei arrabbiato perché non hai potuto giocare con quel giocattolo. Lo capisco”
- Che effetto produce negli altri? Il bambino che è in preda ad una sua manifestazione emotiva, non è in grado di leggere e accogliere lo stato d’animo altrui. Per questo motivo è importante aiutarlo a capire che le emozioni creano un “contagio”: “Mi dispiace che sei arrabbiato”. Questo aiuterà a creare un territorio comune sul quale incontrarsi, fatto di reciprocità e scambio.
- Non è tempo di parlare del comportamento. Se l’emozione è intensa, non possiamo ancora parlare della sua reazione, per cui lo interrompiamo se sta facendo qualcosa di sbagliato, ma evitiamo la “ramanzina”.
Gestire la rabbia in autonomia
Ora è il momento di provare a gestire in autonomia la rabbia. Le emozioni non passano da un momento all’altro ed è utile aiutarlo ad essere autonomo e tenersi dentro un po’ di rabbia da gestire da solo. Questo lo allenerà a riconoscere i segnali corporei delle emozioni e a trattenerli.
Non c’è da preoccuparsi se il bambino piange, fa i capricci o mette il “broncio”, è normale. Anche a noi adulti capita di piangere di fronte a stati di tensione molto elevati e pensare che qualcuno venga a dirci “Smettila di piangere!” non ci aiuta a gestire il momento.
Quando la situazione sarà più distesa, allora potremo parlare di quello che è successo, aiutandolo a narrare i fatti con più oggettività e anche ad aggiustare le modalità di espressione delle emozioni mostrandogli le opzioni alle quali non aveva potuto pensare proprio perché troppo arrabbiato.
Alcune volte l’aspettativa dei genitori nei confronti dei figli pone un’asticella impossibile da raggiungere
Il fine ultimo non è rendere i bambini perfetti, ma aiutarli ad accrescere la loro consapevolezza. Bisogna porre molta attenzione su quest’ultimo punto: alcune volte l’aspettativa dei genitori nei confronti dei figli pone un’asticella impossibile da raggiungere, aumentando l’intensità della frustrazione sia nel piccolo che nell’adulto. Ricordiamoci che anche essere genitori significa essere imperfetti. Un figlio può vivere con gli errori di genitori consapevolmente imperfetti, mentre fa più fatica a vivere con genitori idealmente perfetti.