Saper dire “no” ai bambini è molto importante per la loro educazione. Esistono però, a seconda dell’intonazione e delle circostanze, diversi significati del “no” che può essere dunque leggero, acritico, motivato educativo.
Ci sono principi educativi che attraversano il tempo indisturbati, preservando la loro importanza nonostante la cultura, la società, i valori siano cambiati nel corso della storia e continueranno a cambiare nel nostro futuro. Uno di questi è certamente il “No” rivolto ai bambini, inteso come sano confine dell’adulto che impone un limite alla volontà del bimbo.
Capita quotidianamente che ci si trovi a fare i conti con il “No educativo”, virgolettato perché impropriamente detto, ma nomenclatura che ci aiuterà a distinguerlo dal “No acritico”, dal “No leggero” e dal “No motivato”.
I diversi significati del “no” ai bambini
Di recente ho accolto per la prima volta due genitori in studio che mi hanno raccontato questa difficoltà: «Non riusciamo a far dormire nostro figlio in camera sua. Di notte si sveglia e viene nel letto con noi. Capirà Dottore, che non è il massimo per noi e nemmeno per lui. Prima o poi dovrà pur dormire da solo, no?». Sollecitato da questa domanda, come spesso faccio, attendo e poi rimbalzo con un’ulteriore domanda che in questo caso è tanto semplice quanto complessa e così chiedo: «Gli avete mai detto “No”?». La risposta è stata esaustiva, un chiaro: “No”.
Non mi stupisce che dire no ai propri figli sia difficile e non è colpa dei genitori. La verità è che oggi sentiamo così tanto parlare di educazione, senza realmente conoscerla, che l’abbiamo confusa con una educazione leggera.
Il “No” leggero: dire No senza pronunciarlo
Ci sono genitori che non riescono a dire “No”, allora anziché pronunciarlo, lo parafrasano in mezzo ad altri giri di parole.
Questo tipo di comunicazione non da al bimbo la fermezza educativa che gli serve, non gli fa recepire il messaggio che l’adulto è alla guida della situazione. Anzi, crea una forte ambiguità che può portare il bimbo a mettere in atto comportamenti che per i genitori diventano difficili da gestire.
«Posso venire al lavoro con te?» chiede il bambino alla mamma. «Tesoro, non penso che il capo della mamma voglia e poi i bambini non possono girare per l’ospedale». Questa risposta, data da una mamma infermiera al figlio che chiedeva di poter seguire la mamma al lavoro anziché andare a scuola, racchiude l’essenza del “No” leggero.
Purtroppo una risposta come questa è una risposta di tipo evitante, che evita cioè l’impatto con l’emotività dell’altro spostando la responsabilità su qualcun altro o qualcos’altro. Al bambino passa solamente l’incertezza della risposta che non solo non lo soddisferà, ma lo porterà a voler espandere i confini dei suoi bisogni, non avendo trovato nessun vero impatto per la strada.
Il “No” acritico: dire No fuori tempo
«Ora che siamo al parco, non ti faccio usare la bicicletta perché prima ti sei comportato male!». Mi spiace dire a tutti i genitori che adottano questo tipo di “No”, che sono assolutamente fuori tempo.
Se un bambino fa qualcosa che non va, non può ricevere il “No” a distanza di tempo o alla prima occasione utile. Altrimenti, anziché trasmettere un messaggio congruente tra il comportamento e la conseguenza, passiamo unicamente la nostra frustrazione che si esprimerà nella volontà di mortificarlo in modo, appunto, acritico, cioè senza la possibilità di cogliere e costruire una certa criticità/ragione nelle cose.
Stiamo attenti a questo tipo di “No”, perché nel tentativo di dimostrare l’asimmetria nella relazione, quindi la nostra superiorità di adulti, stiamo invece trasmettendo grande insicurezza con mortificazioni che non trovano terreno dove diventare riflessioni.
Se un bambino fa qualcosa che non va, non può ricevere il “No” a distanza di tempo
C’è un retaggio che ci portiamo dietro: quello degli spiegoni. Chi lo ha detto che in educazione bisogna sempre spiegare tutto? Vi mostro cosa c’è dietro all’eccesso di questo comportamento: «Quando siamo a tavola bisogna stare seduti bene, perché se viene qualcuno a mangiare a casa nostra poi cosa penserà se vede un bambino che mangia scomposto e poi quando siamo al ristorante, se ti siedi bene, tutti penseranno “Oh ma quel bambino guarda com’è composto. Che bravo. Quindi non ti sedere male, così la mamma e il papà sono felici perché fai il bravo bambino e tu sei un bravo bambino…ecc, ecc».
So che sembra esagerato, ma per quanto l’esempio sia frutto di fantasia, lo stile non lo è e sono sicuro che alcuni di voi si riconosceranno in questo. Cosa c’è dietro a tutto ciò? C’è il tentativo di convincere il bambino ad aderire alla nostra richiesta, che abbiamo ragione e che ci assecondi senza fare storie. C’è la convinzione che il bambino debba essere d’accordo con noi, quasi come se debba sapere con esattezza cosa fa e perché lo fa. Purtroppo questo stile inneggia solamente a una grande confusione, che nella maggior parte dei casi sfocia in comportamenti di rifiuto del bambino, perché “assillato” dagli spiegoni genitoriali.
Il “No” educativo: dire No… E basta
Siamo alla conclusione della nostra esplorazione attraverso i No. Ricordate l’esempio che vi ho raccontato all’inizio? Quello del dottore? Perché ha funzionato così tanto? Perché era semplice, immediato, coerente, deciso e non rabbioso. Quando i genitori mi dicono «Dottore non ho idea del perché, ma questa volta mi ha ascoltato ed è stato bravissimo!» generalmente è perché l’intervento risponde esattamente ai criteri che vi ho appena elencato:
immediato: il No deve arrivare subito e non dopo un periodo di tempo che fa dimenticare al bambino l’emotività del momento.
semplice: il No deve essere facile da capire e non deve contemplare troppi perché; massimo uno, ma a volte anche zero.
coerente: il No deve essere collegato alla richiesta o all’azione appena svolta e non conseguente a emotività altre.
deciso: il No non deve in alcun modo tentennare, perché crea incertezza e insicurezza. Il bambino ha bisogno di sentire la guida dell’adulto.
Fonte: https://www.wamily.it/il-valore-educativo-dei-no-ai-bambini/